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29 febbraio 2008

Piazza pulita

Da quando con uno sbuffo poderoso aveva buttato via il cappello, ricominciando a fumare dopo trent'anni di composta e tranquilla astinenza, la preoccupazione dei vicini era aumentata a dismisura: non smettevano di tenerlo d'occhio con apprensione, interrogandosi su quale sarebbe stata la sua prossima mossa.

Fior di studiosi erano all'opera nell'intento vano di prevedere il cosa, il come e, soprattutto, il quando. Tutti gli altri, i comuni, superstiziosi mortali si limitavano, invece, a tenerlo d'occhio e a fare scongiuri: la sola prassi in cui erano maestri, affinata in secoli d'ignoranza, credulità e fatalismo.
Che fosse pericoloso, molto pericoloso, lo sapevano anche i bambini, ma uomini e donne erano incapaci di tradurre i loro timori in atti concreti e virtuosi. I più determinati e avventurosi avevano rimpolpato il tradizionale flusso migratorio imprimendo una tale accelerazione al fenomeno, tradizionale e consolidato da secoli, da trasformarlo in una vera fuga in massa: non spingete, scappo anch'io.

La città, spopolata, degradata e immiserita, era preda di scorribande sempre più sfrontate di grassi ratti che contendevano a bande di cani randagi macilenti il controllo del territorio: un'indifferenziata plaga di immondizia stratificata e puzzolente fra la quale i pochi umani residenti, quasi tutti vecchi senza risorse e senza speranza, si muovevano come ombre nell'Ade razzolando nei rifiuti, in attesa del solo evento che riuscivano a prefigurarsi con certezza: una morte miserabile e solitaria.
Oltre alle migliaia di gabbiani che volteggiavano initerrotamente sulle montagne di rifiuti, si favoleggiava anche della presenza di cinghiali, volpi e lupi, nel cuore di quella che era stata una popolosa città dal clima invidiabile, affacciata sul vasto, bellissimo golfo che ne portava il nome, ricordato in cento canzoni e mille poesie, per secoli.

Quando il torpore notturno fu interrotto da un frastuono assordante, accompagnato da una serie di scosse telluriche sempre più forti e dall'ululato di cani e lupi terrorizzati, fu chiaro che il quando, atteso e temuto, era arrivato e anche il come si svelò poco dopo. Una immensa colonna di fumo nero accompagnata da terrificanti deflagrazioni si sostitui al consueto pallore notturno, oscurata, a sua volta, da una nube di cenere infuocata che soffocò e sepellì ogni forma di vita e le sue tracce immonde, lasciate sul territorio in secoli d'incuria e degrado crescenti.
In capo a tre giorni, un vasto incontaminato deserto di cenere si spingeva dal vulcano fino alle rive del mare, come era accaduto duemila anni prima, ma molto più esteso, sotto la spinta di una forza vendicativa devastante.

Veh victis!

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