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17 dicembre 2008

Troppo tardi

mer 17 dicembre 2008 Troppo tardi

Era troppo tardi per partire, ma restare sembrava ancora peggio e tertium non datur. O no?
Si trattava
di trovare il modo per salvare la pelle, con una bella pensata, all'altezza della situazione. Non è che fosse proprio certo che l'ordine di eliminarlo fosse già stato emesso, né tanto meno che fosse stato stabilito quando, come e chi dovesse eseguirlo, ma gli era bastato sapere che lo avevano inserito nella lista dei sospetti per capire che era ora di cambiare aria in fretta, o meglio ancora, subito. Dove andare, però? e soprattutto, come fare ad abbandonare la casa senza essere visti e seguiti. Senza "partire", insomma".

Come inizio di un racconto poliziesco non gli sembrò molto originale, ma. al momento, non sapeva dove andare a parere e la sua esperienza lo portava a non sopravvalutare l'importanza del PRIMO incipit. Importante era solo l'ultimo incipit, quello definitivo, da piazzare all'inizio a racconto finito, quando, finalmente avrebbe saputo come si erano svolti i fatti e, soprattutto, come era andata a finire la storia. Per il momento, era importante cominciare a scrivere, poi, con un po' di fortuna, si sarebbero fatti vivi i personaggi e anche l'ambientazione avrebbe cominciato ad apparire con un blow up progressivo, come accadeva alle veccchie stampe in bianco e nero immerse nella bacinella di sviluppo

Riguardo ai personaggi aveva una teoria ben radicata; bisognava lasciarli respirare, che si muovessero a loro piacimento, insomma, si sentissero liberi e dessero fondo alle loro risorse, se ne avevano. Solo quando rischiassero di scappare fuori dalla storia li riprendeva con una tiratina di briglie, altrimenti, trottassero pure a loro talento. Questo ragazzo (era un ragazzo?), che sembrava così mal messo, avrebbe dovuto muoversi in fretta, se era proprio vero che gli stavano con il fiato sul collo per ammazzarlo. Lui li conosceva i suoi aguzzini, o almeno credeva di sapere chi fossero, mentre lo scrittore ne era completamente all'oscuro: se la sbrigasse da solo, dunque, e se non era in grado di cavarsela neppure nelle prime righe, morisse pure, come tanti altri personaggi nati morti. Per saperlo, bastava aspettare.

Non disponendo di gallerie sotterranee, come nei vecchi castelli e neppure di una più modesta uscita posteriore, meno in vista del portone d'ingresso, illuminato platealmente, non gli restava che il travestimento, qualcosa di credibile, però, non la solita barba finta, cappello calato sul muso e occhiali scuri.
Optò per la platealità: tacchi vertiginosi, gonna lunga e stretta con spacco inguinale al centro, calze a rete, boa di struzzo viola, trucco da professionista dell'adescamento stradale, parrucca rosso fiamma e borsetta roteabile. Nell'atrio, quasi si scontrò con un cassiere di banca e prode coinquilino che non lo riconobbe affatto e lo guardò con l'aria costernata di chi vedeva la schiuma del malcostume dilagante lambire, ormai, la sua benpensante magione.
Rinfrancato da quel primo test superato a pieni voti, si buttò con baldanza esagerata sul marciapiedi, ancheggiando sui tacchi madornali fino al parcheggio semi-buio, dove lo aspettava l'utilitaria anonima con la quale buttarsi nel traffico demenziale verso una meta da definire, ma lontana di lì, quando cinque colpi ben assestati al corpo e un sesto finale alla testa, chiarirono i suoi dubbi: la sentenza definitiva era stata emessa. Quando doveva essere eseguita? ora. Dove? lì. Chi la doveva eseguire? due tangheri che sapevano sparare.

Prima di morire, raro privilegio, fece in tempo ad ascoltare la sua orazione funebre: "L'ho ammazzato volentieri 'sto pervertito. Lo sapevi tu che era anche un finocchione?"
"No; ma c'è poco da meravigliarsi: non c'è più religione al giorno d'oggi"

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